La Badia di Santa Maria

La Badia di S.Maria

Attraversando la piazza centrale del paese, percorrendo via Trento si raggiunge l‘antica Badia originariamente intitolata a S. Maria.La chiesa è un esempio di architettura romanica e conserva i caratteri tipici di questo stile, riscontrabili anche in altri edifici sacri del Valdarno e del Casentino. Presenta una pianta a croce latina, ad una sola navata, con transetto sporgente e tre absidi ben separate di cui quelle laterali più piccole. La facciata, con una finestra a occhio nella parte alta sopra il portone d’ingresso, presenta un paramento murario a filari di grosse bozze di arenaria; i muri laterali, infine, sono costituiti da filari regolari di bozzette squadrate.

Chi è passato di qui?

 Dante Alighieri

 Nell’autunno del 1285, quando il poeta aveva venti anni, erano scoppiate alcune ostilità tra Siena e Arezzo; gli aretini, capeggiati dal vescovo Guglielmino degli Ubertini, riuscirono a far insorgere a proprio favore gli abitanti di Poggio Santa Cecilia, inviandovi ingenti truppe; i senesi il 27 ottobre strinsero d’assedio la cittadina e chiesero subito l’aiuto di Firenze.

Il 27-28 novembre partì la cavalleria fiorentina, comandata da Guido di Monfort; il castello cadde alcuni mesi più tardi, tra il 7 e l’8 aprile del 1286. L’assedio terminò con un bagno di sangue; gli assediati, ormai privi di cibo e di acqua, tentarono la fuga durante la notte, ma furono catturati o uccisi sul posto. I prigionieri furono poi trasferiti a Siena, dove furono in maggior parte impiccati o decapitati. Il castello stesso fu completamente raso al suolo, come descritto da Giovanni Villani nella sua Cronaca.

La possibilità che Dante facesse parte di quella spedizione si regge esclusivamente sull’interpretazione di un passo di Vita Nuova, IX, 1-2, “Appresso la morte di questa donna [l’amica di Beatrice] alquanti die avvenne cosa per la quale me convenne partire de la sopradetta cittade e ire verso quelle parti dov’era la gentile donna ch’era stata mia difesa…”ecc.

Il brano può avere altre interpretazioni, ma è opinione comune tra i più illustri studiosi, tra cui Giorgio Petrocchi, che Dante abbia effettivamente fatto parte di quella spedizione militare. La via del Valdarno, cioè la Cassia Adrianea fino a Badia Agnano, era la più breve (a quel tempo) per chi, passando per Incisa, intendesse recarsi a Poggio Santa Cecilia e si presume che le truppe fiorentine abbiano fatto proprio quella strada.

Dalle foto aeree è ancora oggi riconoscibile un percorso che unisce Poggio S. Cecilia a Badia Agnano, che passa proprio davanti alla chiesa di S. Maria in Ferrata. Dante era uno “stipendiario” e prese probabilmente parte soltanto alla prima fase dell’assedio del Poggio, mentre è certo che partecipò in seguito alla famosa battaglia di Campaldino.

Cenni storici

L’origine della Badia di S.Maria risale, probabilmente, a prima del Mille ed è legata alla nobiltà feudale toscana. Nell’XI secolo la Badia ebbe una nuova fondazione e, benedettina in origine, ma confluita successivamente nell’ordine camaldolese, in breve tempo ampliò il patrimonio fondiario e il controllo su numerose chiese in un ampio territorio che oltre la Valdambra interessava il Valdarno, la Valdichiana e il senese. Fra i priorati da essa dipendenti ricordiamo S. Maria in Gradi, S. Pietro a Soppioro (vicino a Laterina), S. Egidio a S. Pancrazio e S. Cristoforo alle Vertighe.
La profonda crisi che a partire dal XIV secolo investì il monachesimo, ebbe una forte accelerazione nel secolo successivo con la cessione in commenda (assegnazione provvisoria) dei benefici e dei beni delle abbazie ad alti dignitari ecclesiastici. Anche la Badia di S. Maria di Agnano a partire dalla seconda metà del secolo XV, insieme alla Badia aretina di S. Maria in Gradi da essa dipendente, fu retta da abati commendatari nominati dal papa. Questo fatto fece venire meno tutte quelle positive caratteristiche nel campo religioso, sociale ed economico, che avevano contrassegnato l’origine del monastero, e contribuì a rompere definitivamente lo stretto legame che univa la Badia al territorio e alla popolazione della Valdambra. Anche il centro direzionale ed economico fu posto in Arezzo presso S. Maria in Gradi, ribaltando la storica dipendenza fra le due Badie.
L’omicidio dell’abate Giovanni Vincenzo Carleno, avvenuto nel 1562 in Agnano durante la celebrazione eucaristica, fu l’ultimo atto di 90 anni di commenda che concorsero alla decadenza generale del monastero, accentuando così i motivi di contrasto con la popolazione.
L’ultimo abate commendatario fu S.Carlo Borromeo, che, interpretando le esigenze di riforma e di rinnovamento del secolo XVI, nel 1564 riconsegnò “libere” le due Badie a Camaldoli, da cui dipesero fino alla definitiva soppressione napoleonica. Nel 1566 il priore generale dell’ordine camaldolese prese possesso di Agnano e conservò ai monaci il titolo di curati e camarlinghi.

Con le disposizioni di Papa Innocenzo X del 15 ottobre 1652, in conseguenza di quanto prescriveva il Concilio di Trento, la Badia di Agnano fu soppressa e perse anche quel legame spirituale che aveva creato con la popolazione. Da quel momento, al pari di tanti altri conventini, terminò ogni esperienza monastica ad Agnano e persino la cura delle anime della parrocchia di S. Tiburzio venne affidata ad un sacerdote secolare, alla cui nomina provvide la Badia di Arezzo fin dall’ottobre del 1653.
Il cospicuo patrimonio fondiario ed immobiliare, costituito in epoca medievale, si mantenne quasi inalterato fino al XIX secolo, e al pari di altre fattorie laiche fu gestito da un “agente”, monaco o laico, che provvedeva alle locazioni e alla riscossione dei canoni dei numerosi affittuari. Le entrate economiche che per il solo grano ammontavano a circa 1.200 staia all’anno (quelle di S. Maria in Gradi erano di circa 800 staia), furono utilizzate in funzione di interessi propri dell’ordine, con una minima ricaduta economica o sociale sul territorio, rivolta specialmente alla conservazione dei fabbricati della chiesa, del monastero e dei poderi. Per mantenere integro il patrimonio e costante l’entrata economica, fu sovente necessario ricorrere a lunghi e complessi processi contro gli affittuari, verso i quali la Badia fu costretta a giustificare diritti e privilegi spesso anacronistici e che mal si conciliavano con i nuovi rapporti che si praticavano in agricoltura.
La Badia non agevolò il dinamismo nella realtà agricola, ma mirò al mantenimento della rendita divenendo così un elemento “frenante” lo sviluppo economico.
Ormai spogliata di tutte le originarie funzioni spirituali non offriva alla gente altro che l’inviso volto dell’esattore, estraneo alla cultura locale e non più solidale con la popolazione. Anche la Badia di S. Maria in Gradi, che era rimasta la struttura monastica di riferimento per l’”agenzia” di Agnano, fu soppressa nel 1783 a opera di Pietro Leopoldo.
Nell’ambito delle generali riforme granducali la riorganizzazione ecclesiastica rappresentò un momento essenziale per fare ordine da un punto di vista religioso, ma soprattutto per finanziare le riforme stesse. Si stabiliva che gli ordini monastici cooperassero, insieme al clero secolare, all’assistenza spirituale del popolo e fossero soggetti alla giurisdizione del vescovo. L’alienazione dei benefici ecclesiastici, iniziata in epoca granducale, fu completata sotto il governo francese. Si realizzò così la redistribuzione dei beni delle due Badie.
Il 12 marzo 1811 i fratelli Tosi di Livorno acquistarono dall’Amministrazione del debito pubblico, per 18.132 franchi, il podere denominato Badia Agnano, che consisteva in una casa a uso di fattoria di 25 stanze, con orto (il fabbricato dell’antico monastero), e in due case da lavoratore e sedici pezzi di terra. Tutta questa proprietà acquistata dai Tosi con fini speculativi, passò nello stesso anno in mano alla famiglia Vannucci e successivamente in quella dei Mattei che tutt’oggi la detengono. Dell’alienazione dei beni della Badia beneficiarono anche le famiglie dei Serristori e dei Ginori e quelle locali dei Vanneschi, Mattei, Rubeschi, Cini, Aldinucci.

Villa Cini